Una recente ricerca condotta dall’Università del Nevada negli USA ha messo in relazione la malattia dell’Alzheimer con il nostro intestino: i risultati sono assai promettenti.
Qual è il legame tra il nostro apparato digerente ed il nostro apparato cerebrale? Ed è davvero opportuno considerare il nostro intestino una sorta di secondo cervello? Ebbene, recenti studi condotti dall’Università del Nevada negli Stati Uniti d’America hanno rilevato un ruolo cruciale di un “protagonista” del nostro intestino nella salute del nostro principale organo del sistema nervoso centrale.
Questo “protagonista” potrebbe, secondo i risultati degli studi effettuati, influenzare addirittura l’emergere di alcune malattie neurodegenerative, tra cui il morbo di Alzheimer: si tratta del microbiota intestinale, la cui composizione potrebbe indicare quanto un individuo sia a rischio di malattie neurodegenerative.
L’obiettivo principale della ricerca è stato quello di comprendere le tipologie e le modalità d’interazione del microbiota con le attività neurologiche del cervello nonché con il sistema immunitario e, tramite esse, di capire il perché dell’insorgere di degenerazioni di specifiche aree cerebrali che portano a declino cognitivo e a sintomi associati, come ad esempio la perdita della memoria. Ed ecco quindi la correlazione con la malattia di Alzheimer.
Le evidenze sulla componente infiammatoria del microbiota intestinale
Tra le evidenze emerse, i ricercatori si sono concentrati sulla componente infiammatoria caratteristica sia di malattie neurodegenerative sia di malattie psichiatriche: ed effettivamente è risultato che il microbiota intestinale dei pazienti affetti dalla malattia di Alzheimer abbia ceppi definiti “pro-infiammatori” più abbondanti rispetto alla norma.
Se la correlazione tra microbiota e malattie neurogenerative verrà quindi confermata, è assai probabile che sarà possibile agire direttamente sul microbiota intestinale, manipolandolo, per ottenere benefici diretti per il cervello in riferimento a malattie come l’Alzheimer, senza dover necessariamente agire su di esso in modo invasivo. Inoltre, essendo il microbiota facilmente ed altamente modificabile, i trattamenti potrebbero essere numerosi, specifici e personalizzati in base alle caratteristiche uniche del paziente, oltre ad essere anche semplici da prescrivere e da condurre a livello terapeutico.
Dunque gli studi sono senz’altro promettenti e proseguono anche nel nostro Paese, ad esempio da parte dell’IRCCS, ovvero dell’Istituto Centro San Giovanni di Dio Fatebenefratelli della città di Brescia. È importante tuttavia sottolineare che si trovino al momento ad una fase di sviluppo ancora preliminare: servono quindi ancora numerose ed importanti conferme per comprendere con certezza se la prevenzione ed il trattamento delle malattie neurodegenerative possa effettivamente avvenire anche attraverso l’intestino.