Grazie a taglio del cuneo fiscale e riforma Irpef, gli stipendi aumenteranno. Vediamo come questo si rifletterà sulla pensione.
In che misura gli aumenti degli stipendi impatteranno sull’importo della nostra pensione? In questo articolo vi spieghiamo tutto nei dettagli.
Il Governo Meloni ha alzato il taglio del cuneo fiscale portandolo dal 3% al 7% per i redditi lordi annui fino a 25.000 euro e dal 2% al 6% per quelli fino a 35%. Ciò comporterà un notevole aumento dello stipendio per milioni di lavoratori. Stesso effetto avrà la riforma fiscale con l’abbassamento delle aliquote Irpef. Questa misura avvantaggerà un po’ tutte le fasce reddituali ma, in particolare, a trarne beneficio saranno i redditi compresi tra 15.000 e 28.000 euro lordi l’anno. Ma questi aumenti avranno un qualche impatto positivo sull’importo della nostra pensione?
Aumento degli stipendi e pensione: ecco cosa cambierà
Come visto grazie alle riforme messe in campo dal Governo Meloni, milioni di lavoratori avranno una busta paga più ricca. Ma che effetti ci saranno sulle pensioni?
Il mondo delle pensioni è cambiato in modo radicale con la riforma Dini che ha segnato- nel lontano 1995- il passaggio dal sistema di calcolo retributivo al sistema di calcolo contributivo puro. Quest’ultimo si basa – come si può intuire dal nome stesso – unicamente sui contributi versati al fine di calcolare l’importo dell’assegno previdenziale. Naturalmente è meno vantaggioso per i contribuenti rispetto al sistema di calcolo retributivo il quale, tuttavia, era una vera e propria emorragia per le casse dell’Inps.
Con il sistema di calcolo contributivo, più contributi si hanno e più alta sarà la pensione. Ma i contributi dipendono anche dall’importo dello stipendio. Di conseguenza, qualunque aumento della stipendio anche apparentemente irrilevante andrà ad incidere positivamente sulla pensione. Ma come si calcola la pensione?
Bisogna tenere conto di tre fattori: lo stipendio lordo, i contributi versati e il coefficiente di trasformazione. In pratica bisogna moltiplicare il montante contributivo – cioè l’insieme dei contributi versati – per il coefficiente di trasformazione che cambia a seconda dell’età in cui si va in pensione. Il risultato cambia anche a seconda del sistema di calcolo. Con il contributivo puro, ad esempio, con 40 anni di contributi alle spalle si ottiene il il 60% dell’ultimo stipendio mentre con 30 anni di contributi si arriva a percepire solo il 48%.
Quello dei contributi è un problema davvero serio. Infatti, se il Governo Meloni non riuscirà a superare la legge Fornero, chi oggi ha 35-40 anni, molto probabilmente non potrà andare in pensione a 67 ma dovrà lavorare almeno fino a 74 per trovarsi con un assegno non superiore a mille euro al mese. La legge Fornero, infatti, stabilisce che per poter smettere di lavorare a 67 anni è necessario:
- avere almeno 20 anni di contributi;
- aver maturato un assegno previdenziale pari almeno a 1,5 volte l’importo dell’Assegno sociale.
Ma gli attuali 35-40enni hanno, perlopiù, carriere discontinue e stipendi bassi. Pertanto è altamente improbabile che a 67 anni abbiano maturato un assegno sufficiente per poter andare in pensione.