Troppa pressione? No, la scienza ci spiega finalmente cosa accade nella testa di chi sbaglia un rigore decisivo
Non c’è campione del mondo del calcio che non abbia sbagliato un rigore (a volte fondamentale e decisivo) nel corso della propria carriera. Del resto, i rigori li sbaglia solo chi li tira. Ma cosa scatta nel cervello di chi sbaglia un tiro dal dischetto?
Noi italiani dovremmo saperlo più di chiunque altro. Abbiamo ancora negli occhi il calcio di rigore sbagliato da Roberto Baggio nel caldo torrido di Pasadena, nella finale dei Mondiali di USA 1994. Roberto Baggio, uno dei giocatori più forti di tutti i tempi, peraltro quasi unico artefice della corsa dell’Italia di Arrigo Sacchi in quella competizione, fino alla finale persa, proprio alla lotteria dei rigori, contro il Brasile.
E, allora, se un rigore (e che rigore!) l’ha sbagliato uno come Roberto Baggio, che tipo di problemi dovrebbe avere un calciatore “normale”? Eppure, l’errore dagli undici metri continua a essere uno spettro che perseguita chiunque si affacci al mondo del pallone. Ecco cosa scatta nella testa di chi sbaglia un tiro dal dischetto.
Cosa succede al cervello di chi sbaglia un calcio di rigore
“Un calciatore lo vedi dal coraggio, dall’altruismo, dalla fantasia” cantava Francesco De Gregori, invitando Nino (ma, in realtà, tutti noi) a non aver paura di sbagliare un calcio di rigore che, nella metafora della vita, potrebbe essere una di quelle grandi occasioni che, forse, capitano solo una volta nel corso della nostra esistenza.
Solitamente, si pensa che sbagliare un calcio di rigore decisivo sia dovuto alla troppa pressione. In realtà, un recente studio pubblicato su “New Scientist” ci dice che il nostro cervello si “inceppa” quando siamo di fronte a un bivio che potrebbe darci, con un’unica azione, una grande ricompensa. Se l’aspettativa è molto alta, infatti, anche le nostre capacità motorie (solitamente molto efficaci) possono perdere smalto.
Uno studio della Carnegie Mellon University, in Pennsylvania aveva già dimostrato diversi anni fa che alcuni macachi, addestrati per portare a termine un compito difficile in cambio di acqua zuccherata, avevano più difficoltà quando la bevanda era più abbondante. Più recentemente, osservando proprio la corteccia motoria delle scimmie, gli scienziati hanno notato che le informazioni relative all’importanza della ricompensa interferivano con il sistema di programmazione motoria.
Le cellule che regolano i movimenti, dunque, sono risultate particolarmente sensibili alla ricompensa, andando sempre più in tilt se la ricompensa stessa saliva di livello. Al contrario, invece, se il premio era di minor conto, anche le difficoltà cerebrali diminuivano sensibilmente.