Esiste un’età giusta per cominciare ad imparare l’inglese? Come devo comportarmi con i miei figli? Troppo presto rischia di essere un problema?
Sono molti i genitori italiani che se lo domandano: a che età è meglio esporre i figli ad una seconda lingua? Se ciò capita troppo presto, si corre forse il rischio di “corrompere” la lingua madre e causare magari anche problemi di apprendimento ai nostri piccoli?
Ebbene, partiamo da un principio di base: il momento giusto c’è ed è sempre. Forse farà sorridere, ma è proprio così: in base alle condizioni ed alle necessità della propria vita, ciascuno può valutare quale sia il momento più opportuno per esporre i propri figli alla seconda lingua, anche da piccolissimi.
Nonostante sia una credenza diffusa, in realtà, stimolare fin dai primi mesi di vita i bambini sia alla lingua madre italiana sia alla seconda lingua, come ad esempio l’inglese, non comporta alcun problema di apprendimento.
Non risultano evidenze significative, infatti, circa la necessità di dare precedenza alla lingua madre, attendere che si consolidi nell’infante e, dunque, solo a questo punto cominciare ad esporlo alla seconda lingua. Quindi, il percorso di apprendimento può cominciare anche dai primi mesi di età, con il vantaggio che fino a circa 7 anni il cervello umano risulta particolarmente attratto, attento e responsivo al linguaggio, nonché in grado di riconoscere facilmente le differenze fonetiche, semantiche e grammaticali e di organizzarle in sorte di “archivi dedicati” che entreranno a far parte del suo patrimonio cognitivo per rimanervi per tutta la vita.
Imparare dopo i sette anni di età risulta quindi uno svantaggio?
Diciamolo chiaramente: non lo è. Al netto della maggior predisposizione all’apprendimento del linguaggio riscontrata negli esseri umani fino al settimo anno di età circa, abbiamo incalcolabili evidenze che imparare la lingua successivamente, non solo sia assolutamente possibile, ma anche estremamente opportuno per acuire le facoltà mentali (che includono quelle cognitive, emotive, sensoriali e sentimentali), le capacità mnemoniche, la curiosità, l’empatia, l’apertura verso le differenze e la loro comprensione ed inclusione.
E ciò vale tanto per chi comincia lo studio della seconda lingua, ad esempio, durante il percorso di scuola elementare quanto per chi lo avvia finalmente, dopo averlo desiderato magari per tutta la vita, giunto alla pensione. Senz’altro, le modalità di apprendimento risulteranno variabili e differenti per ciascuno, con livelli di maggiore o minore semplicità a seconda delle proprie elasticità e prontezza mentale, ma ciò che determina il vero consolidamento delle lingue apprese successivamente a quella madre è un unico ed importantissimo fattore: quello sociale.
Riscontrare nella lingua un’utilità effettiva, interagendo costantemente con altre persone a livello discorsivo per i più disparati motivi (come per il gioco, lo studio, il lavoro, lo svago e le relazioni personali) è la garanzia del successo del consolidamento del nuovo linguaggio tra i nostri strumenti comunicativi. Viceversa, mantenerlo come hobby solitario dimostra di far tendere le competenze apprese ben presto all’oblio, a qualsiasi età.